La “Figlia di Dio” è un’opera teatrale laica e allo stesso tempo religiosa, ad alto profilo culturale e sociale, che punta il dito sulle ingiustizie e le sopraffazioni, lasciando cadere tabù e inibizioni.

Esce dagli schemi, soprattutto quelli imposti dal mainstream e dalle logiche del mercato.

In scena gli ultimi e la sofferenza dell’uomo causata dall’uomo, l’unica specie che distrugge l’ambiente in cui vive, che uccide per piacere, che tortura esseri viventi per lucro.

L’eterna contrapposizione tra il bene e il male, tra l’essere e l’avere.

Canzoni  d’autore inedite, tratte dagli album “Pura come una bestemmia” e “La figlia di Dio” della stessa Seno firmate da considerevoli autori e poeti del panorama italiano, e un testo recitato da Riccardo Mei, da una lettera di Pino Pavone.  

Potremmo definirlo “cantateatro”, ma sarebbe riduttivo visto che l’idea è quella di unire varie forme d’arte, pittoriche, scultoree o fotografiche oltre a quelle della canzone e del  teatro, da convogliare in unico spazio e con un unico scopo: scuotere anime e coscienze, una ricerca profonda, libera dagli inganni, senza giudizio alcuno, per cercare di capire “l’altra realtà”.

“A POCA DISTANZA DA QUI”
Installazione fotografica di Renato Ferrantini.

Il viaggio è un’esperienza mentale non misurabile in termini di distanza chilometrica.
Chi è lontano e chi è vicino fa sempre parte della comunità del nostro mondo e in quanto tale deve essere ascoltato, sostenuto, fatto oggetto di narrazione, senza essere bollato come indesiderato. La migrazione per necessità economica o per discriminazione nel paese d’origine rappresenta un diritto indiscutibile.  Così come il ritorno in una terra  contesa o  sottratta illegalmente.
Le foto proposte descrivono un percorso di consapevolezza umana in luoghi dal forte impatto visivo e sociale.
La stazione Tiburtina e piazzale Maslax a Roma, luogo di incontro per i migranti in transito; il campo informale di Vucjak in Bosnia lungo la rotta balcanica, il villaggio di rifugiati curdi a Makhmour in Iraq dove è nato il modello del confederalismo democratico e il deserto inospitale algerino, da quasi cinquanta anni luogo d’esilio del governo e del popolo
Saharawi.
I tratti distintivi di questi uomini e donne sono comuni: le distanze si annullano: resilienza, equilibrio, pacifismo e forte senso di collettività.